Pensieri e parole

La comodità  di non chiudere occhio è quella di dare spazio ai pensieri in totale libertà .
Potranno essere pensieri frivoli, delicati, sconci, profondi, ma saranno comunque pensieri liberi e il più delle volte ingombranti.
Hanno un difetto i pensieri: sono inconsistenti, immateriali, circoscritti.
Sono racchiusi nel loro bel recinto d’oro rinforzato, galoppano, saltano, compiono mille evoluzioni, ma rimangono chiusi lì incapaci di oltrepassare la linea che li separa dalla realtà .
Hanno anche dei pregi, ti permettono di accrescere l’ego: 
“domattina farò questo e quello…”;
ti permettono di trovare il coraggio che normalmente manca: 
“domattina gliene dirò quattro…”;
ti permettono di pianificare strategie da far invidia ai più grandi Generali:
“domattina se succede ciò risponderò con questa azione inaspettata da tutti…”;
ma ahimè essendo pensieri, solo pensieri, perderanno di valore con le prime luci dell’alba.
Un po’ come i sogni, aperti gli occhi ci si dimentica il più delle volte di aver sognato, di aver vissuto una seconda vita mentre le palpebre chiuse, al buio, ci proteggevano dalla realtà .
Forse sogni e pensieri fanno parte della stessa famiglia.
Forse sono addirittura fratello e sorella.
E forse non sono neanche soli, perché potrebbero avere un altro fratello o sorella:
le parole.
In effetti nel momento in cui le parole si comportano come i pensieri o come i sogni – svanire al mattino, perdere di valore a fine giornata, dimenticarle – non sono altro che sogni o pensieri.
Un modo diverso di rappresentare la stessa identica cosa: inconsistenza, immaterialità .
Sono sinonimi, fratelli, figli degli stessi genitori.
Eh già .
Ma se pensieri e sogni rimangono all’interno della nostra testa e non possono provocare danni, le parole quando investono gli altri ci identificano, ci disegnano, ci collocano all’interno della società  come soggetti affidabili o meno.
Se affidiamo le parole a qualcuno come fossero dei pegni senza riscattarle con i fatti, avranno perso le parole di valore e noi di credibilità .
Le parole, se rimangono vuote, non sono altro che foglie secche portate dal vento, puoi vederle, sentirle, ma se cerchi di acciuffarle ti sfuggiranno dalle mani o si ridurranno in mille pezzi lasciandoti solo l’amarezza di averci provato e l’illusione di averci creduto.
Perché alla fine potremo pensare, sognare, raccontare, ma prima o poi dovremo vivere, e se viviamo in un modo raccontandolo in un altro, beh, signori miei avremo sbagliato tutto.

I nostri malesseri

Un giorno qualsiasi, di un mese qualsiasi, di un anno qualsiasi.
Un parco, anche lui qualsiasi.
Lo scampolo di sole caldo, nel primo pomeriggio di un inverno anomalo, ha risvegliato nei bambini la voglia di trincerarsi in un parco.
Urlano, giocano, si inseguono, si divertono.
Non hanno fronzoli loro, esprimono i propri sentimenti in totale spensieratezza.
I cuccioli di uomo, gli unici capaci di quella forza interiore e indomabile, sono riusciti nell’improbabile compito di far riemergere gli adulti dal torpore delle proprie case.
Rintanati nelle comodità  e protetti da milioni di alibi con i quali giustifichiamo l’ozio quotidiano, siamo solitamente incapaci di sollevare la testa per guardare cosa succede intorno a noi.
Non oggi, non in questo minuscolo angolo di terra.
Le mamme parlottano tra loro.
I nonni sorvegliano con aria greve i futuri eredi.
I papà , troppo assuefatti dalla tecnologia, ignorano tutto ciò possa distrarli, adducendo, come motivazione, la necessità  di dare ai pargoli la loro apparente libertà .
Sedute sulla panchina più esterna di questa area protetta, due amiche.
Sono totalmente ricoperte dall’impalpabile calore del giorno di perielio.
Parlano.
Si confidano.
Servono su un piatto d’argento le proprie emozioni, i sentimenti, gli stati d’animo.
Lo facciamo tutti, chi più, chi meno.
Lo fanno queste due donne, o meglio, lo fa una delle due.
È evidente, dall’aria corrucciata del viso e dalla forza che mette nello stringersi su se stessa, ad essere lei quella bisognosa di liberarsi dai demoni aggrappati alle piccole spalle.
L’altra annuisce, segue con attenzione l’immensa mole di parole provenire dalla direzione opposta.
Di tanto in tanto, risponde, espone il suo punto di vista, cambia involontariamente le espressioni del viso.
Sembra una partita a scacchi truccata, dove uno dei due avversari fa di tutto per far vincere l’avversario.
Pur essendo lontano riesco a cogliere quella dinamica vista e provata da tutti noi milioni di volte.
Nel momento in cui qualcosa ci opprime, sentiamo la necessità  di liberarcene e lo facciamo parlando, o almeno dovremmo farlo.
Perché tutto ruota sulla volontà  e il coraggio di provarci, coraggio che il più delle volte viene meno.
Usiamo sotterfugi.
Ci facciamo vedere tristi per mettere alla prova l’empatia di chi abbiamo di fronte, ma abbandoniamo la presa mentre siamo appesi sul ciglio di un burrone e ci viene offerta una mano come appiglio.
Il timore di essere quelli sbagliati, ridicoli, inopportuni frena ogni possibilità  di confronto.
L’eterna lotta tra il riuscire a risolvere autonomamente i propri malesseri, ed il riconoscere di poterlo fare solo dopo averli vomitati in faccia a qualcuno che abbia voglia di subirli, riempie le giornate di tutti noi.
Chissà  perché sentiamo la necessità  di dimostrare a noi stessi di essere così autonomi, per accorgerci dopo, di esserne totalmente incapaci.
Perché riusciamo a complicare tutto e non facciamo come i bambini?
Dovremmo imparare da loro.
Anzi no, dovremmo recuperare la memoria perduta degli anni in cui eravamo noi quei bambini.

Pozzanghere

Devo buttare del tempo.
Non posso evitarlo, sono bloccato qui.
Fermo, immobile, in macchina, la radio fa come sempre il suo dovere di fedele compagna.
A volte riesce a comprendere quale canzone o pezzo tu abbia bisogno di ascoltare e te lo serve su di un piatto d’argento.
Il sole ormai tramontato ha lasciato il posto alla flebile luce dai classici toni grigi. 
In realtà  è tutto grigio, una strana cartolina monocolore invade il paesaggio circostante, ci si muove con la luce artificiale, quasi a tentoni.
Gli alberi spogli, fissano tutti con la loro aria di vecchi saggi, spenti, stanchi, ma pronti a subire il rigore dell’inverno.
Piove.
Le piccole gocce formatisi tra le nuvole, cadute a terra, hanno creato tante piccole pozzanghere.
Piccoli accumuli di felicità  se osservati con gli occhi dei bambini. 
A loro basta poco.
Un salto lì, al centro, ed è subito festa.
Chissà  perché noi nel diventare grandi, perdiamo quella semplicità . 
Chissà  perché ci ostiniamo a rendere tutto così cupo e triste, giustificando in tutti i modi questo strano comportamento. 
Mah.
Dovremmo ritrovare, noi i grandi, il coraggio di fare un salto al centro della  pozzanghera provando il piacere di saltare tra la felicità . 
Il tempo è passato, vado.