Primavera

L’inverno è stato messo alle strette.
Spinto nel suo angolo subisce, incapace di difendersi, i colpi bassi dei primi caldi portati dal sole.
E’ primavera.
Adesso è lei a farla da padrona e non intende cedere ai ricatti di qualche pioggia invadente, ma sporadica.
Tutto viene rianimato.
Le montagne vengono inondate da una secchiata di vernice verde scuro perdendo il consueto mantello grigio.
Le piante rinascono timide e piene di piccoli germogli rigogliosi.
I primi fili d’erba si affacciano alla nuova vita rompendo il pesante strato di terra che gli ha fatto da scudo e protetti durante il freddo appena lasciato alle spalle.
Sono coraggiosi loro, non temono di essere calpestati e se lo fossero raddrizzeranno la schiena più forti di prima.
Non si fanno abbattere da un inconveniente così banale e prevedibile.
L’insolenza di una comitiva di pettirossi è imbarazzante, non si preoccupano dei vicini animali intontiti dal prematuro risveglio, dopo essere stati coccolati dal letargo invernale.
Devono, anche loro ad ogni costo, partecipare alla festa della nuova vita.
Sentono la necessità  di cantare, urlare, cinguettare, rivendicare il loro diritto di esserci e farsi riconoscere.
Riemergono anche gli uomini.
Cercano, nel rinato tepore, la forza di abbandonare i luoghi sicuri in cui sono stati immersi nei mesi passati.
Una bolla di sapone fatta scoppiare non appena è stata di troppo.
Rinvigoriti dalla luce hanno ripreso ad animare parchi, boschi, prati, laghi e qualsiasi altro posto privo di un tetto, una copertura, qualcosa capace di oscurare la visuale sopra la loro testa.
La necessità  ora è di fare il pieno di caldo, riempire gli occhi con i colori della vitalità , tuffarsi nel verde per riemergere nell’azzurro.
I pittori coloreranno i loro quadri con colori caldi dando ai loro ritratti la forza di sollevarsi dalla tela e prendere vita.
I musicisti riempiranno lo spartito di note così vigorose che sembreranno voler ballare insieme alle evoluzioni praticate dai ballerini.
I poeti scriveranno versi non più inneggianti alla tristezza, ma alla felicità .
Si pensa al futuro.
Si fanno progetti.
Si è ottimisti.
Si cerca di emulare i fili di erba, quelli incapaci di farsi abbattere dalle piccole avversità  che inevitabilmente arriveranno, ci investiranno, ma verranno scrollati di dosso con un leggero movimento delle spalle.
Tutto è più facile, ottenibile, a portata di mano, basterà  chinarsi in avanti per afferrarlo.
Finalmente, ci si potrà  tuffare nella piscina colma di profumi con la corsia in direzione del nuovo periodo di buio pesto, ma nel frattempo potremo godere della bellezza avuta sotto il naso in ogni momento.
Bellezza nascosta solo dall’incapacità  di riuscire a volgere lo sguardo oltre il gelo.
Dopo lo sconforto dovuto ai disegni fatti dai pastelli grigi del freddo sulle tele del nostro quotidiano, avremo la sensazione di poter tutto, basterà  volerlo prendere.
Prendiamolo.

I nostri malesseri

Un giorno qualsiasi, di un mese qualsiasi, di un anno qualsiasi.
Un parco, anche lui qualsiasi.
Lo scampolo di sole caldo, nel primo pomeriggio di un inverno anomalo, ha risvegliato nei bambini la voglia di trincerarsi in un parco.
Urlano, giocano, si inseguono, si divertono.
Non hanno fronzoli loro, esprimono i propri sentimenti in totale spensieratezza.
I cuccioli di uomo, gli unici capaci di quella forza interiore e indomabile, sono riusciti nell’improbabile compito di far riemergere gli adulti dal torpore delle proprie case.
Rintanati nelle comodità  e protetti da milioni di alibi con i quali giustifichiamo l’ozio quotidiano, siamo solitamente incapaci di sollevare la testa per guardare cosa succede intorno a noi.
Non oggi, non in questo minuscolo angolo di terra.
Le mamme parlottano tra loro.
I nonni sorvegliano con aria greve i futuri eredi.
I papà , troppo assuefatti dalla tecnologia, ignorano tutto ciò possa distrarli, adducendo, come motivazione, la necessità  di dare ai pargoli la loro apparente libertà .
Sedute sulla panchina più esterna di questa area protetta, due amiche.
Sono totalmente ricoperte dall’impalpabile calore del giorno di perielio.
Parlano.
Si confidano.
Servono su un piatto d’argento le proprie emozioni, i sentimenti, gli stati d’animo.
Lo facciamo tutti, chi più, chi meno.
Lo fanno queste due donne, o meglio, lo fa una delle due.
È evidente, dall’aria corrucciata del viso e dalla forza che mette nello stringersi su se stessa, ad essere lei quella bisognosa di liberarsi dai demoni aggrappati alle piccole spalle.
L’altra annuisce, segue con attenzione l’immensa mole di parole provenire dalla direzione opposta.
Di tanto in tanto, risponde, espone il suo punto di vista, cambia involontariamente le espressioni del viso.
Sembra una partita a scacchi truccata, dove uno dei due avversari fa di tutto per far vincere l’avversario.
Pur essendo lontano riesco a cogliere quella dinamica vista e provata da tutti noi milioni di volte.
Nel momento in cui qualcosa ci opprime, sentiamo la necessità  di liberarcene e lo facciamo parlando, o almeno dovremmo farlo.
Perché tutto ruota sulla volontà  e il coraggio di provarci, coraggio che il più delle volte viene meno.
Usiamo sotterfugi.
Ci facciamo vedere tristi per mettere alla prova l’empatia di chi abbiamo di fronte, ma abbandoniamo la presa mentre siamo appesi sul ciglio di un burrone e ci viene offerta una mano come appiglio.
Il timore di essere quelli sbagliati, ridicoli, inopportuni frena ogni possibilità  di confronto.
L’eterna lotta tra il riuscire a risolvere autonomamente i propri malesseri, ed il riconoscere di poterlo fare solo dopo averli vomitati in faccia a qualcuno che abbia voglia di subirli, riempie le giornate di tutti noi.
Chissà  perché sentiamo la necessità  di dimostrare a noi stessi di essere così autonomi, per accorgerci dopo, di esserne totalmente incapaci.
Perché riusciamo a complicare tutto e non facciamo come i bambini?
Dovremmo imparare da loro.
Anzi no, dovremmo recuperare la memoria perduta degli anni in cui eravamo noi quei bambini.