La Grande Bellezza

La Grande Bellezza film del 2013 diretto da Paolo Sorrentino, con attore principale Toni Servillo che interpreta Jep Gambardella.

Stefania: Io ho provato a cambiare le cose con la Letteratura. Io ho scritto undici romanzi di impegno civile e il libro sulla storia ufficiale del Partito.
Jep: Hai dimenticato la collaborazione per i testi di quel reality… come si chiama?
Romano: “La Fattoria delle Ragazze.” si chiama.
Stefania: Guardate che l’esperienza della televisione è molto formativa. E quando mi invitano, io ci vado sempre. Io mi sporco le mani, io sperimento, provo… Io non passo la vita a fare la snob.
Dadina: Senti un po’, stai dicendo che un romanziere impegnato ha una sorte di vantaggio, diciamo di salvacondotto rispetto a romanziere chi si occupa che ne so, di… sentimenti?
Jep: Ma certo che sta dicendo questo, certo.
Stefania: La causa per cui uno impegna la propria vita non è secondaria. Metti l’importanza di costruire una famiglia, di dedicarsi con sacrificio e impegno quotidianamente all’educazione dei ragazzi. Io e Eusebio abbiamo quattro figli, facciamo insieme un percorso, progettiamo. Io faccio i salti mortali per essere madre e donna. Ma alla fine della giornata sento che sono stata utile, che ho fatto qualcosa di importante e interessante.
Dadina: Noi che non abbiamo figli, secondo te, dovremmo accarezzare la l’idea del suicidio?
Stefania: Non parlo di te, naturalmente.
Jep: Parla di me.
Stefania: Dadina, lo sai quanto ti stimo, no? Tu sei una donna “cazzuta”.
Jep: Usi “cazzuta” in uno dei tuoi undici romanzi?
Stefania: Si, uso la parola “cazzuta” nei miei romanzi. Ci provo ad essere moderna.
Romano: La modernità  è cazzuta.
Jep: De gustibus… Quante certezze, Stefania. Non so se invidiarti o provare una forma ribrezzo.
Stefania: Si, ho delle certezze. Ho cinquantatré anni…
Jep: Portati benissimo.
Romano: Molto.
Stefania: Ho cinquantatré anni, ho sofferto, mi sono rialzata e adesso ho imparato molte cose dalla vita. Bene, vedo che non ribattete più, finalmente.
Jep: Stefa’, non ribattiamo perché ti vogliamo bene. Non vogliamo metterti in imbarazzo. Ma insomma tutte queste vanterie, tutta questa ostentazione seriosa di io, io, io, questi giudizi sprezzanti tagliati con l’accetta nascondono una tua fragilità , un tuo disagio, e soprattutto una certa serie di menzogne. Noi ti vogliamo bene, certo conosciamo anche le nostre menzogne ma proprio per questo a differenza tua finiamo per parlare di vacuità , di sciocchezzuole, di pettegolezzi, proprio perché non abbiamo nessuna intenzione di misurarci con le nostre meschinità .  
Stefania: Ma di che menzogne stai parlando? Tutto quello che ho detto è vero! È come sono, è quello in cui credo.
Jep: Ti prego, mi vanto di essere un gentiluomo, non mi fare crollare l’unica certezza che ho, eh?
Stefania: No, no, no, no, no, adesso tu per favore mi dici quali sarebbero le mie menzogne le mie fragilità  bello mio, eh, io sono una donna con le palle, parla, avanti, su, parla.
Jep: Su “donna con le palle” crollerebbe qualsiasi gentiluomo. Stefà , l’hai voluto tu, eh? In ordine sparso. La tua vocazione civile ai tempi dell’università  non se la ricorda nessuno, molti invece ricordano personalmente un’altra tua vocazione che si esprimeva a quei tempi, ma si consumava nei bagni dell’università . La storia ufficiale del partito l’hai scritta perché per anni sei stata l’amante del capo del partito. I tuoi undici romanzi, pubblicati da una piccola casa editrice foraggiata dal partito, recensiti da piccoli giornali vicini al partito, sono romanzi irrilevanti, lo dicono tutti questo non toglie che anche il mio romanzetto giovanile fosse irrilevante, su questo ti do ragione.
La tua storia con Eusebio? Ma quale? Eusebio è innamorato di Giordano, lo sanno tutti. Da anni. Pranzano tutti i giorni da Arnaldo al Pantheon, sotto all’attaccapanni come due innamoratini sotto alla quercia. Lo sanno tutti e fate finta di nulla. L’educazione dei figli che tu condurresti con sacrificio minuto per minuto: lavori tutta la settimana in televisione, esci tutte le sere, pure il lunedì quando non si manifestano neppure gli spacciatori di popper, i tuoi figli stanno sempre senza di te, pure durante le vacanze lunghe che ti concedi, poi hai per la precisione: un maggiordomo, un cameriere, un cuoco, un autista che accompagna i ragazzi a scuola, tre baby sitter, insomma, come e quando si manifesta il tuo sacrificio? Queste sono le tue menzogne e le tue fragilità .
Stefà , madre e donna: hai cinquantatré anni e una vita devastata, come tutti noi. Allora, invece di farci la morale, di guardarci con antipatia, dovresti guardarci con affetto. Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un poco in giro. O no?

Romano : Che cosa avete contro la nostalgia eh? È l’unico svago che resta a chi è diffidente verso il futuro.

https://www.youtube.com/watch?v=jizHu5cWlFU

Jep : finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.

Donna con le palle

“Ciao, oggi è davvero una splendida giornata, non trovi?”
“Si guarda, proprio bella.”
“Cos’è successo?”
“Nulla…”
Iniziano così, sempre allo stesso modo le conversazioni in cui ti rendi conto di avere davanti una persona ferita, triste, afflitta.
E’ un copione visto più volte, con la capacità  di ripetersi ad ogni occasione.
Un rituale a cui nessuno è stato permesso di non partecipare.
Ed in quel momento spetta a te la decisione, lo sliding doors dei tempi moderni:
far finta di nulla con un banalissimo “dai, non ci pensare, anche io ci sono passato” oppure decidere di avere davanti il viso di una persona talmente importante da sentire la necessità  di capire, sapere, comprendere.
Non perché si abbia la presunzione di poter risolvere il problema, di essere determinante, ma perché si è consapevoli di avere in mano la ricetta richiesta dal viso che ti guarda: 
togliersi quel peso sullo stomaco, vomitarlo, espellere quel corpo estraneo capace solo di rovinare l’armonia della serenità .
Sai perfettamente cosa ci vuole.
Una piccola spinta al coperchio traballante, in bilico sul bordo di quel vaso di Pandora, con la consapevolezza di lì a poco, di essere travolto da una valanga di neve fresca, gelida, ma pesante.
Decidi di togliere quel tappo, è il punto di non ritorno, dai la spinta.
All’improvviso tutto muta.
Il viso precedentemente scuro diventa madido.
Gli occhi bassi lasciano il posto alle pupille completamente esposte, nerissime.
Le spalle chiuse su se stesse si riaprono permettendo ai polmoni di respirare più profondamente.
Le labbra arcuate si trasformano nel mezzo per tirare fuori il brutto rospo incastrato in gola da troppo tempo.
La rabbia, durante il racconto, diviene l’emozione preponderante, perché regala la forza per ricordare, esporre chiaramente e con la giusta nitidezza il vissuto, l’episodio, l’accaduto.
Allo stesso modo, il luogo che ci circonda diventa uno spazio senza contorni, indefinito, nulla può distrarre l’attenzione dal film a cui stiamo assistendo.
E il racconto si conclude molte volte con una frase precisa, netta:
“…perché io sono una donna (un uomo) con le palle e non crollo.”
Mio malgrado, questa affermazione mi lascia sempre titubante.
Perché?
Perché si sente la necessità  di voler mostrare questa forza apparente?
Perché si sente la necessità  di sembrare imperturbabili?
Come se nessuno ci potesse scalfire, toccare, ferire.
Perché non si può ammettere di essere fragili, di aver bisogno di aiuto, di non riuscire a farcela?
Cosa spinge l’essere umano a voler dare un’immagine distorta di se?
Perché non si può essere semplicemente se stessi?